Competere con la complessità: il valore del design thinking
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Competere con la complessità: il valore del design thinking

Il design thinking sta all’innovazione del XXI secolo esattamente come il total quality management del XX stava alla produzione.

Inserito 25 febbraio 2019

Il design thinking sta all’innovazione del XXI secolo esattamente come il total quality management del XX stava alla produzione.
Jeanne Liedtka della Darden School of Business (University of Virginia) spiega che la maggior parte dei dirigenti ha sentito parlare degli strumenti del design thinking, anche se non li ha ancora sperimentati. È un passo importante. Ma non è il passo decisivo. Liedtka osserva che ciò che tanti potrebbero non capire, in questo mancato passaggio all’atto, «è il modo più sottile in cui il design thinking aggira i pregiudizi umani» creando un ambiente favorevole alla gestione ottimale e produttiva della complessità.

Un esempio? L’attaccamento allo status quo o il radicamento in specifiche norme comportamentali. A dispetto delle tante critiche, il design thinking è lo strumento più radicale per sganciarsi da vecchie abitudini, quando queste diventano stagnazione e non generazione. Quante volte abbiamo sentito dire: «È così che facciamo le cose qui!». Questi atteggiamenti, da propensioni individuali, rischiano di pregiudicare strategie e ambienti del gruppo. Rischiano, in altri termini, di passare da estemporanee disposizioni caratteriali a criteri regolativi istituzionalizzati.  Le conseguenze sono molte, si snodano su molti piani e possono essere drammatiche. Due conseguenze, però, interessano particolarmente il piano di un’organizzazione che si vuole ottimale: blocco dell’immaginazione e, di conseguenza, dell’innovazione.  Ciò che rende le cose complicate è sempre più spesso l’assenza di un adeguato design thinking.

«Il corretto studio dell'umanità è la scienza del design», insegnava Herbert Simon, Premio Nobel per l’Economia nel 1978, tra i padri dell’intelligenza artificiale (AI) e della teoria dell’organizzazione. Proprio a Simon e al suo seminale lavoro del 1969 The Sciences of Artificial è riconducibile l’idea di design come way of thinking.

Chi progetta, spiega Simon, concepisce linee d’azione per trasformare le situazioni esistenti in situazioni preferenziali. In questo senso, «l’attività intellettuale che produce artefatti materiali non si differenzia fondamentalmente da quella che prescrive rimedi per un malato o che elabora un nuovo piano di vendita per un'azienda o una politica sociale per uno stato. Il design, così inteso, è il cuore di tutta la formazione professionale; è il marchio principale che distingue le professioni dalle scienze».

Per avere successo, una scienza della progettazione (design) deve saper cogliere le sfide della complessità. Un buon design thinking non elimina la complessità, ma aiuta a gestirla.
Jeanne Liedtka indica tre punti fondamentali che un processo di innovazione deve offrire:

  • superior solutions;
  • lower risks and costs of change;
  • employee buy-in.

Se inquadrare i problemi in modo ovvio e convenzionale porta quasi inevitabilmente a soluzioni ovvie e convenzionali che trasformano la complessità in complicazione, aumentandola per giunta di grado e quantità, una soluzione superiore corrisponde invece a un vero salto qualitativo, capace di integrare nel percorso pensieri laterali e voci esterne al campo specifico del team.

Poiché ogni innovazione nasce e genera incertezza, oltre alla complessità, ecco un secondo fattore da imparare a gestire attraverso il design thinking: mutare l’incertezza in orizzonte di senso. Per gestire la tensione, si tendono a escludere come potenzialmente negative le idee che, invece, potrebbero essere incrementali. Senza un pensiero progettuale che sappia tener conto della potenziale doppia valenza delle idee innovative, i rischi non si riducono. Ma, se il rischio e il costo di un’idea sono commisurati al loro grado di successo innovativo, questo non potrà mai realizzarsi (indipendentemente dall’idea e dal rischio iniziale), senza il sostegno del team e dei dipendenti. I costi, in caso contrario, aumenteranno. 

Il design thinking è un modello di coerenza che ha come referente tanto l’interno dell’organizzazione, quanto la sua possibilità di muoversi fluidamente all’esterno. Alla base di questo modello, spiega ancora Liedtka, c’è una tensione basilare: in un ambiente stabile, l'efficienza si ottiene spingendo le variazioni all'esterno dell'organizzazione. Così che, in un mondo instabile, il cambiamento diventa l'amico dell'organizzazione, perché apre nuove strade verso il successo.

Per gestire tutti i compromessi, le organizzazioni hanno bisogno di una tecnologia sociale che affronti questi ostacoli comportamentali e i pregiudizi controproducenti degli esseri umani. I processi di design thinking richiedono così di colmare il knowing-doing gap. Osservava Tim Brown, autore di uno dei maggiori best-seller sul tema, che i leader «dovrebbero incoraggiare la sperimentazione e accettare il fatto che non vi è nulla di sbagliato nel fallimento, purché avvenga in anticipo, diventi una fonte di apprendimento e crescita» e sia inquadrato in un vero contesto progettuale. Ogni vero cambiamento avviene, infatti, by design.

RIFERIMENTI

 

Brown, T.
Change by design. How Design Thinking Transforms Organizations and Inspires Innovation
London, Harper & Collins, 2009.

Liedtka, J.
In Defense of Strategy as Design
California Management Review, vol. 42. n. 3 (2000), pp. 8–30.https://journals.sagepub.com/doi/abs/10.2307/41166040?journalCode=cmra#articleCitationDownloadContainer

Liedtka, J.
Why Design Thinking Works
Harvard Business Review, settembre-ottobre 2018
https://hbr.org/2018/09/why-design-thinking-works

Martin, R. L.
The design of business: Why design thinking is the next competitive advantage
Harvard, Harvard Business School Press, 2009.